L’approccio cognitivo si sviluppa successivamente a quello comportamentale e affonda le sue radici nella psicologia cognitiva, quella branca della psicologia che s’interessa dei processi mentali e li colloca tra il comportamento manifesto e l'attività cerebrale (intesa dal punto di vista neurofisiologico). Fondatori ed esponenti di spicco della psicologia cognitiva furono G. Miller e U. Neisser. Successivamente, A. Ellis (con la sua REBT, Rational-Emotive Behavior Therapy) e A. Beck (a cui è ricondotta la terapia cognitiva standard) furono due dei clinici più autorevoli della prima fase storica della terapia cognitiva, quella definita razionalista. La fase successiva dell’evoluzione del cognitivismo fu quella del neocognitivismo clinico costruttivista o post-razionalista (di cui fu pioniere G. Kelly e, più recentemente, gli italiani V. Guidano e G. Liotti). Il neocognitivismo è stato fortemente influenzato dalle ricerche sullo stile di relazione precoce tra le figure di attaccamento e il bambino, le quali hanno permesso d’identificare quattro stili generali di attaccamento (riuscito, ansioso, evitante e disorganizzato) che condizionano la persona e ne favoriscono uno sviluppo psicologico coerente con le esperienze avute durante la sua crescita. La terza fase evolutiva è quella attuale, denominata cognitivismo di terza generazione, in cui gli approcci basati sulla Meditazione di consapevolezza (la Mindfulness di J. Kabat-Zinn), sull’Accettazione (l’Acceptance di S. Hayes) e sulla Compassione (la Compassion di P. Gilbert) sono tra quelli più rappresentativi. Insieme agli studiosi sopra nominati, Linehan, Segal, Williams, Teasdale, Strosahl, Houts, ecc., sono altri esponenti di spicco di questi approcci. La Terapia Cognitivo-Comportamentale dell’Equilibrio Olistico (TCCEO), ideata da N. Bonaventura e presentata in maniera riassuntiva in questo sito web, si colloca ampiamente in questa fase e ne costituisce un approccio nuovo e fecondo.
Lo psicoterapeuta cognitivo che opera secondo l’approccio standard o razionalista interviene soprattutto sui processi di pensiero e d’immaginazione definiti "automatici", ovvero quelli eseguiti per tanto tempo e con frequenza e rapidità tali da essere diventati poco o affatto percepibili alla persona che li esegue. La teoria cognitiva standard riconduce i processi di pensiero e d’immaginazione automatici a convinzioni e a schemi cognitivi acquisiti nel contesto ambientale in cui la persona ha vissuto e nella quale ha fatto le proprie esperienze di vita. Le convinzioni e gli schemi disadattivi o patogeni sono basati su alcuni "errori" cognitivi (Inferenza arbitraria, Astrazione selettiva, Pregiudizio sul controllo, Etichettamento, ecc.), ovvero su modi errati di utilizzare i processi di pensiero e d’immaginazione (e pertanto definiti "pensieri irrazionali"). L’obiettivo dello psicoterapeuta cognitivo standard è quello d’insegnare alla persona in trattamento ad identificare i pensieri automatici che presentano gli errori cognitivi e di addestrarlo a modificarli attivamente, così da incidere indirettamente anche sulle convinzioni e sugli schemi patogeni. Questo intervento si basa sullo schema "A-B-C" (Antecedence-Belief-Consequence). "Belief" rappresenta il pensiero, la credenza, la convinzione o l’immagine mentale da identificare e poi modificare. Il processo di modificazione o ristrutturazione cognitiva si realizza successivamente attraverso diverse modalità. Con questo apprendimento, la persona impara a ridurre e poi ad estinguere le emozioni negative, i sintomi, i disturbi lamentati e i modi di agire disfunzionali e disadattavi.
Lo psicoterapeuta cognitivo che privilegia l’approccio costruttivista o post-razionalista consente alla persona che ha richiesto il trattamento d’identificare e comprendere, cognitivamente ed emotivamente, la propria "coerenza di significato personale", cioè il suo modo unico e personale attraverso cui egli si costruisce un idea coerente di sé e del suo mondo interno in rapporto con il mondo esterno. Il suo lavoro prevede che la persona acquisisca progressivamente maggiore consapevolezza dell’esperienza immediata (vissuta a livello percettivo, sensoriale ed emotivo e ritenuta da lui una verità oggettiva) e delle discrepanze tra questa e l’immagine cosciente di sé (narrata a se stessa attraverso il linguaggio). Per colmare queste discrepanze e allo scopo di mantenere accettabile il livello di autostima e la coerenza con il proprio senso di sé, la persona ha imparato, durante la sua storia di vita, a darsi delle spiegazioni che l’hanno indotta ad una serie di autoinganni. Per il terapeuta costruttivista è necessario rendere la persona progressivamente sempre più consapevole dell’esistenza di questi autoinganni. L’obiettivo ultimo del suo intervento è quello di favorire, nella persona in trattamento, una riorganizzazione del suo significato personale, rispettandone l’identità e permettendogli di mantenere sempre una coerenza emotiva e cognitiva e un modo di autodescriversi che tuteli il suo senso di continuità e di persistenza nel tempo. In sintesi, si tratta di rendere consapevole la persona di come essa debba operare per arrivare, attraverso l’esperienza percettiva, sensoriale ed emotiva immediata e l’autodescrizione di se stessa, ad una maggiore autoconoscenza personale e, di conseguenza, all’accettazione, integrazione e superamento delle emozioni negative, dei sintomi, dei disturbi lamentati e dei modi di agire disfunzionali e disadattavi.
Lo psicoterapeuta cognitivo di terza generazione enfatizza gli approcci basati sulla Meditazione di consapevolezza (Mindfulness), sull’Accettazione (Acceptance) e sulla Compassione (Compassion) quali modalità privilegiate d’intervento terapeutico. Il termine Mindfulness indica "uno stato mentale che ha a che fare con particolari qualità dell’attenzione e della consapevolezza che possono essere coltivate e sviluppate attraverso la meditazione. Una possibile descrizione è la seguente: la consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi dell’esperienza momento per momento: a) con intenzione; b) nel presente; c) in modo non giudicante" (F. Giommi, introduzione del libro "Mindfulness", Segal, Williams e Teasdale, Bollati Boringhieri, 2006). I contenuti della precedente citazione ben si legano concettualmente con i due principi cardine di un'altra terapia cognitiva-comportamentale di terza generazione, l'Acceptance and Commitment Therapy (ACT), ovvero la "psicoterapia basata sull’accettazione e l’impegno": insegnare ad accettare la realtà interna (Acceptance) e impegnarsi nell'azione coerentemente con i propri valori ed obiettivi personali (Commitment). Per l’ACT, riferirsi a se stessi e agli altri usando il linguaggio in modo poco consapevole e inappropriato (ad es., attraverso i processi d’identificazione, fusione e il dialogo interno disfunzionale e disadattivo) costituisce un aspetto fondamentale da considerare durante il trattamento terapeutico. La "defusione cognitiva" è il processo attraverso cui la persona in trattamento impara a distanziarsi dal pensiero, dall’immaginazione e dal dialogo interno, non considerandoli più parti sostanziali di sé (disidentificazione), ma eventi interni da osservare. Lo stesso tipo di processo di defusione e disidentificazione dovrà essere appreso nei confronti delle sensazioni, delle emozioni o di qualsiasi altro vissuto o comportamento. La Compassion-Focused Therapy (la psicoterapia basata sulla compassione) punta invece l’interesse sul senso di colpa, sulla vergogna e sull’autocritica e li considera aspetti determinanti di molti disagi e disturbi mentali. Questi ultimi sarebbero il risultato di uno squilibrio nella regolazione delle emozioni, squilibrio che può essere corretto attraverso la compassione (l’accudimento, la gentilezza, il contenimento affettivo, la sensibilità, la partecipazione emotiva e l’empatia, la tolleranza alla sofferenza e l’atteggiamento non giudicante) del terapeuta durante il trattamento. Per realizzare questo obiettivo il terapeuta insegna direttamente, sia attraverso il proprio comportamento verbale e non verbale, sia in forma psicoeducativa, l’atteggiamento compassionevole alla persona in trattamento. Alcuni "attributi" dell’apprendimento alla compassione, in particolare la partecipazione emotiva, la tolleranza alla sofferenza e l’atteggiamento non giudicante, rappresentano il legame più evidente con gli altri approcci di terza generazione. Anche la Terapia Cognitivo-Comportamentale dell’Equilibrio Olistico (TCCEO) ha molti punti di contatto con i tre approcci sopracitati, pur mantenendo una sua specificità (per un approfondimento si veda lo spazio ad essa dedicata in questo sito web). Tutti gli approcci di terza generazione hanno però in comune l’enfasi sulle strategie di cambiamento contestuale ed esperienziale (senza peraltro trascurare l’importanza delle strategie direttive e psicoeducative): il terapeuta deve ideare o realizzare (in quest’ultimo caso utilizzando protocolli d’intervento già esistenti e validati) contesti idonei a modificare la relazione che esiste tra la persona in trattamento e i pensieri, le immagini mentali, le sensazioni e le emozioni che essa normalmente sperimenta e che creano e mantengono le stesse o altre emozioni negative, i sintomi, i disturbi lamentati e i modi di agire disfunzionali e disadattavi. Il linea generale, lo psicoterapeuta che opera secondo questi approcci, non è interessato ad effettuare un intervento di modificazione diretta su tutti questi aspetti disfunzionali appena citati. Gli obiettivi principali sono quelli di permettere alla persona di potenziare le proprie abilità e di fare esperienze alternative di attenzione/consapevolezza, inibendo l’evitamento esperienziale che ne pregiudica il libero sviluppo e la realizzazione degli obiettivi, in coerenza con i suoi valori di riferimento. In quest’ottica, qualsiasi metodologia, strategia o tecnica che stimoli il cambiamento contestuale ed esperienziale è facilmente integrabile, anche se teoricamente distante dallo stesso ambito cognitivo-comportamentale. Questo è il motivo principale per cui lo psicoterapeuta cognitivo di terza generazione può assimilare, all’interno del proprio modello d’intervento, elementi costituitivi di modelli diversi, distanti o, addirittura, sotto certi versi, anche alternativi.